Plauto: Capt. 850 *
(Giornale italiano di filologia, 58 (2006): pp. 75-83)
Il Capt. 850 fa parte di un dialogo fra Ergasilo ed Egione, dialogo in cui il parasitus sta per annunciare al senex il ritorno di Filopolemo. Credendo che la sua pancia sarebbe stata riempita grazie al suo “contributo” di messaggero, Ergasilo chiede ad Egione di far preparare la cena, anzi, un banchetto. Sentiamo un pezzo del loro dialogo che contiene il v. 850:
ERG. Iuben an non iubes astitui aulas, patinas elui, 846
Laridum atque † epulas foueri foculis feruentibus,
Alium piscis praestinatum abire? HE. Hic uigilans somniat.
ERG. Alium porcinam atque agninam et pullos gallinaceos?
HE. Scis bene esse, si sit unde. ERG. † Pernam atque ophthalmiam, 850
Horaeum scombrum et trugonum et cetum et mollem caseum? [1]
Visto che i vv. 838-849 e 851-908 sono tutti settenari trocaici, si può pensare senza troppo rischio che lo sia anche il v. 850; quest’ultimo sarebbe allora metricamente corrotto [2]. Nel passato la maggior parte dei critici pensarono che la corruttela riguardasse per-nam, ed alcuni proposero di sostituirla con un nome di pesce [3]. Seguendo questo pensiero e dopo una minuziosa ricerca, ci chiediamo se invece di pernam non si debba leggere capitonem, cioè:
Scīs bĕ |n(e) ēssĕ, | sī sīt | ūndĕ. || Căpĭtō | n(em) ātqu(e) ōph | thālmĭam [4]
Adesso proviamo a dimostrare la probabilità di questa nuova proposta congetturale. La nostra disamina si sviluppa in cinque parti: 1. Quale pesce è il capito?; 2. Quale pesce è l’ophthalmias?; 3. Un probabile gioco di parole; 4. L’uso di capito in Plauto; 5. L’analisi della corruzione.
1. Quale pesce è il capito?
Secondo alcuni dizionari di lingua latina, il capito è un pesce dalla testa grande; ne esistono due tipi, uno di mare, l’altro d’acqua dolce [5]. Alcune enciclopedie e monografie specifiche ci danno piú informazioni: il capito è della famiglia Anguillidae, dell’ordine Anguilliformes [6]. Il suo nome scientifico è “Anguilla anguilla”. In italiano, oltre ad “an-guilla”, sono presenti altri nomi dialettali. La voce “capitone”, che deriva senza dubbio da capito, “è diffusa soprattutto nei dialetti meridionali” [7]: si sente nel Lazio, in Campania, nelle Puglie. Altri nomi simili sono:“capitune” (Sicilia), “capetune” (Puglie), “capilla-ri” (Veneto, Marche), ecc. In Francia è presente la forma “capitto” [8].
Nell’antica Roma “cibo lussuoso per eccellenza sono i pesci e i frutti di mare” [9]. M. A. Levi, parlando dell’arte culinaria degli antichi Romani, nominò “le anguille” fra i pesci di mare e disse: “il vero punto di passaggio fra l’alimentazione dei poveri e quella dei ricchi è rappresentato dalla carne dei pesci” [10]. Ergasilo, senza dubbio un poveraccio, non può non approfittare al massimo di quest’ottima occasione per farsi offrire una cena fastosa. Dopo aver chiesto ad Egione di far comprare carni di maiale, di agnello e di pollo, il parassita comincia a sognare i pesci, e i nomi ittici escono dalla sua bocca come una cascata. Essendo ricco, Egione può senz’altro offrirsi ed offrire ad Ergasilo piatti di pesce. E non di pesci qualsiasi. Il capito, per l’ottima qualità della sua carne, è ben apprezzato già dagli antichi Romani; oggi è ancora “cibo tradizionale nelle feste natalizie: soprattutto la vigilia di Natale” [11].
Il capito nella nostra proposta congetturale è proprio questo piscis marinus a magnitu-dine capitis, e non quello d’acqua dolce [12], poiché le anguille “hanno carne molto pre-giata, specialmente le femmine adulte pronte per la riproduzione” [13], che procede e si compie in mare, e proprio in questo periodo sono “conosciute meglio con il nome di capitoni” [14]. Ergasilo (vogliamo dire Plauto), grande gourmet, dovrebbe sapere benissi-mo quando la carne di questo pesce è in grado di soddisfare al meglio la pancia di un ghiotto professionista, per questo motivo, avrebbe usato capito anziché il nome generico anguilla nel Capt. 850.
2. Quale pesce è l’ophthalmias?
Con la nostra proposta congetturale pensiamo che esista un gioco di parole nel con-fronto fra capito edophthalmias [15]; è quindi ora opportuno vedere piú da vicino l’ophthal-mias prima di scoprire l’eventuale gioco di parole.
La corruttela del v. 850 riguarda pernam. Ma se la lezione ophthalmiam nei codici è nel complesso certa, ci sono invece divergenze e confusioni nella sua interpretazione. Alcuni studiosi giunsero alla conclusione che l’ophthalmias fosse la lampreda [16]; alcuni altri pensarono invece che la parola designasse un pesce chiamato in latino oculata, in italiano “occhiata” [17]. A. Ernout e G. Augello, traducendo rispettivamente con “lamproie” e “lampreda”, dissero (con un po’ di riserva) che l’ophthalmias fosse l’oculata [18]. Sembra che, secondo loro, “occhiata” e “lampreda” designino una stessa specie ittica, ma in realtà si tratta di due pesci diversi: l’occhiata appartiene infatti alla famiglia Sparidae, dell’ordine Perciformes, mentre la lampreda, alla famiglia Petromyzonidae, dell’ordine Petromyzoni-formes [19].
Se esistono divergenze e confusioni fra i critici, alcuni grandi dizionari concordano invece nell’interpretare ophthalmias come oculata, citando spesso il Capt. 850 e Plin. Nat. hist. 32, 149 [20]. Traducendo oculata di Plinio con “le gros-yeux” [21], E. de Saint-Denis cosí commentò: “cf. ὀφθαλμίας, latinisé en ophthalmias, Pl., Capt., 850 […] ὀφθαλμίας = oculata = melanurus. Oculata a donné ogiá en gênois, oublada, blada en provençal, et c’est bien l’oblata melanura” [22].
Seguendo i dizionari citati nella nota 20 e gli studiosi come N. E. Angelio, F. Leo, L. Havet, M. Scàndola, J. André, e de Saint-Denis, preferiamo interpretare anche noi l’oph-thalmias come “occhiata” anziché “lampreda”. Il nome scientifico dell’occhiata è Oblada melanura. In italiano, oltre ad “occhiata”, “oblata” ed “occhiatella”, esistono numerosi altri nomi dialettali, come “occiada” in Veneto, “ojata” in Campania o “ucchiata” in Ca-labria [23].
3. Un probabile gioco di parole
Terminata la nostra identificazione dei due pesci, esploriamo adesso quale gioco di parole si nasconderebbe nel secondo emistichio del v. 850 da noi congetturato: il capitone ha la testa grande, il suo occhio “è piccolo” [24]; l’occhiata ha il “capo piccolo” [25] ma l’occhio “grande ed arrotondato” [26]. Possiamo allora interpretare capitonem atque ophthal-miam in questo modo: piscem a magnitudine capitis atque piscem ab oculorum magnitudine, cioè: “(fai comprare) un capitone, il pesce dalla testa grande (e dagli occhi piccoli), ed un’occhiata, il pesce dagli occhi grandi (ma dalla testa piccola)”. Dal confronto etimolo-gico delle due parole e dal contrasto dell’aspetto fisico dei due pesci, entrambi cosí eviden-ti, deriverebbe un certo effetto comico.
Ma il gioco di parole non finirebbe qui. Il capito e l’ophthalmias, opposti nell’aspetto fisico, hanno invece un punto comune: sono ambedue parassitati. L’occhiata è parassitata “da due Copepodi, il Bomolochus oblongus e il Lernanthropus brevis” [27]; e l’anguilla, “da alcuni Crostacei […] come l’Ergasilus gibbus o l’Argulus”[28]. Che coincidenza, l’Ergasilus è anche uno dei parassiti del capito. Allora, potremmo fare emergere il secondo senso comico del gioco di parole: Ergasilus, parassita di Egione, chiede a quest’ultimo di far comprare, fra altri, due pesci che sono anch’essi parassitati. Anzi, uno di loro è addirittura vittima di un certo Ergasilus. Il capito e il buon senexsono entrambi “mangiati” da Ergasilus, un mangiatore di professione [29].
Ma il gioco di parole non sarebbe ancora esaurito. Le anguille vengono chiamate “cieche” “nella fase infantile, quando risalgono i fiumi” [30], per l’erronea credenza che siano prive di occhi. La parola ὀφθαλμία, il cui genitivo è ortograficamente identico al nome del pesce ὀφθαλμίας, significa non solo la malattia “oftalmia”, ma addirittura “ceci-tà” [31]. Nella sua analisi etimologica, P. Chantraine spiegò il nome ὀφθαλμίας facendo riferimento all’occhio del pesce: “avec le suffixe caractérisant -ίαςqui forme entre autres des noms d’animaux, ὀφθαλμίας m. nom […] d’un poisson (Plaute), p.-ê. à cause de son regard fixe” [32]. Con un po’ di spirito umoristico si può dire che il capito e l’ophthalmias sono ambedue ciechi. Cosí potremmo ricavare il terzo senso comico del gioco di parole: sarebbe troppo esagerato se dicessimo che nella battuta capitonem atque ophthalmiam si nasconde un’allusione ironica riferita ad Egione? Tindaro e Filocrate si sono scambia-ti l’identità e il senex non è riuscito a percepire il loro inganno. Non è Egione che, cre-dendo ancora Aristofonte in errore, a quest’ultimo dice: “quem uides, eum ignoras: illum nominas quem non uides” (v. 566)? In realtà è lui stesso chenon uidet atque ignorat. Non è ancora Egione stesso che, dopo aver scoperto la verità, si rimprovera e si lamenta: “ad illum modum sublitum os esse mi hodie! / neque id perspicere quiui” (vv. 783-784)? Un cieco come il capito e l’ophthalmias, appunto.
Ma con il capito il gioco di parole non finirebbe piú, come non finiscono mai i giochi di parole, di ogni tipo, in ogni angolo del mondo comico plautino. Non siamo sicuri se Plauto conoscesse il crostaceo Ergasilus, non sappiamo neanche se gli antichi Romani all’epoca di Plauto già chiamassero“cieche” le anguille, cioè il secondo e il terzo senso co-mico contano poco, forse niente, per avvalorare la probabilità di capitonem; siamo sicu-rissimi invece che figurativamente l’anguilla (cioè il capito) significa, fin dall’Antichità, una persona estremamente agile, o molto scaltra, subdola, sfuggente. Possiamo trovare una testimonianza proprio in Plauto: quid quom manufesto tenetur? anguillast, elabitur (Pseud. 747). Grazie alla caratteristica fisica piú conosciuta del capito [33], potremmo fare emer-gere, con maggior certezza, un altro senso ancora piú comico del gioco di parole: il capito e l’ophthalmias alluderebbero rispettivamente a Filocrate ed Egione: il primo è scivo-loso come un capito e riesce a sfuggire [34] dalle mani del secondo, che è cieco come un ophthalmias.
Sarebbe proprio cosí. Vediamo adesso piú da vicino in che modo si somigliano il capito e l’adulescens: il pesce, “sin dall’antichità, ha sempre esercitato un fascino irresistibile” [35], dovuto essenzialmente alle sue metamorfosi con le quali esso cambia considerabilmente aspetto. “Quando nasce, l’Anguilla ha una forma totalmente diversa dall’adulto […]. A mano a mano che la metamorfosi procede, questi animali si trasformano in Anguilla dal corpo cilindrico” [36]. Torniamo a Filocrate: neanche lui è nato capito, lo è divenuto soltanto dopo la sua “metamorfosi” in Tindaro, e riesce a sfuggire. Ma Filocrate non è un capitoqualsiasi, è un capito “prognatum genere summo et summis ditiis” (v. 170), dunque costo-so. Egione, dopo aver acquistato parecchi prigionieri versando una quantità di denaro, dice: “ibo intro atque intus subducam ratiunculam, / quantillum argenti mi apud tarpezitam siet” (vv. 192-193). Se sfugge Filocrate, con lui se ne andranno anche i soldi di Egione, cosí predice anche uno dei lorarii: “at pigeat postea / nostrum erum, si uos eximat uinclis, / aut solutos sinat quos argento emerit” (vv. 203-205). Hélas, voeu exaucé. Dopo la scoperta della verità, non è sempre il povero senexche, furiosissimo, cosí esplode con Tindaro: “quia me meamque rem, quod in te uno fuit, / tuis scelestis, falsidicis fallaciis / delacerauisti deartua-uistique opes. / confecisti omnis res ac rationes meas” (vv. 670-673)? Adesso il capito Filocra-te è divenuto per Egione il suo argentumperduto. Ritorniamo al pesce: dopo la seconda metamorfosi le anguille diventano “nero-argentato per cui sono dette «Anguille argenti-ne»” [37]. Argenteus, che deriva da argentum, è un altro nome del capito, piú specificamen-te un altro nome di Filocrate per Egione.
Hoc est: Philocrates capito argenteus, caecus ophthalmias Hegio.
Dopo questa lunga disamina, si potrebbe dire che, nonostante la banalità apparente del v. 850 nel suo stato corrotto, la proposta congetturale con capitonem può offrirci un’occa-sione in piú per ammirare il talento linguistico ineguagliabile di Plauto.
4. L’uso di capito in Plauto
Purtroppo la parola capito si legge soltanto una volta in Plauto: nequeis cognomentum erat duris Capitonibus (Persa 60) [38]. Questo verso viene citato spesso nei dizionari sotto il
lemma “capito”, sia per il significato comune “magnum habens caput”, sia per ilcognomen romano [39]. Secondo quanto è a noi noto, nessun critico, commentando duris Capito-nibus, fece riferimento al pesce capito; questo riferimento è comunque possibile: il Persa 60 è una battuta del parassita Saturio che “dedica” durus capito come soprannome ai suoi antenati, tutti anch’essi parassiti; è probabile dunque che il Poeta abbia scelto la parola per il suo significato di pesce piuttosto che per la funzione di cognome di gens, oppure meglio dire che il Poeta, per soprannominare i suoi parassiti, scelse un cognome di gens, che è ugualmente un nome di cibo, esisterebbe quindi un gioco di parole anche in duris Capitonibus [40].
Anche se duris Capitonibus non c’entrassero con il pesce capito, non sarebbe assoluta-mente impossibile che Plauto avesse usato capitonem nel Capt. 850, al posto di pernam, visto che il Poeta conobbe senza nessun dubbio il capito. Senza parlare di altre ricchissime testimonianze lasciate da Plauto sull’arte culinaria dell’antica Roma, la prova indiscutibile è proprio anguilla del Pseud. 747, che è una lezione, per fortuna, certa [41]. E capito, l’altro nome dell’anguilla, si legge già in Catone il Censore [42], contemporaneo di Plauto.
Per avvalorare la probabilità della nostra congettura, sembra poco una sola occorrenza di capito in Plauto. Ma non sarebbe inutile notare che, fra le sette parole delle congetture precedenti, pernula, perca e perita non si leggono nemmeno una volta in Plauto. Per le altre quattro, perna si legge nove volte [43] nei versi seguenti: Capt. 903, 908 (diverse lezioni nei codici), Curc.323, 366, Mil. 759 (diverse lezioni nei codici), Persa 105, Pseud. 166, Stich. 360, Tru. 598 (lezione incerta); muraena, quattro volte: Amph. 319, Aul. 399, Persa 110, Pseud. 382; pecten, due volte (però sempre nel senso di “pettine per i capelli” anziché di “mollusco”): Capt. 268 (diverse lezioni nei codici), Curc. 577; sepiola, una volta: Cas. 493.
Nel confronto con queste sette parole, si potrebbe dire che, secondo l’uso linguistico di Plauto, capito non dovrebbe essere considerata la meno probabile per sanare il Capt. 850. In piú, il gioco di parole, che esisterebbe nella battuta capitonem atque ophthalmiam, potrebbe porsi a favore di qualche probabilità di capitonem.
5. L’analisi della corruzione
Ci rimane ancora un impegno da compiere, forse quello piú difficile: spiegare la corruzione da capitonem in pernam. Sarà possibile trovare tale spiegazione?
In tutta la letteratura latina classica ci sono pochissime occorrenze di capito come nome di pesce. Nel Thesaurus linguae Latinae, oltre a Cat. Agr. 158, 1, possiamo trovare soltanto altre due testimonianze: Auson. Mos. 85, Theod. Prisc. Log. 101 [44]. Plinio, forse il piú grande erudito dell’età imperiale, usò tre volte anguilla nella Nat. hist. 32 (16, 138, 145), ma nemmeno una volta capito. Non sarebbe sbagliato dire che la parola perna, grazie al prosciutto, fosse molto piú conosciuta di capito [45]. Dunque, sarebbe possibile che quello scriba, responsabile della corruttela e provvisto di scarsa comprensione del metro, si
fosse permesso di evincere la parola originale, purtroppo a lui sconosciuta, e di inserire pernam, dopo aver appena copiato porcinam, agninam e pullos gallinaceos? Difficile a dirsi. Nel passato, almeno Havet considerò la corruzione del Capt. 850 dovuta proprio ad un errore di questo genere [46], e propose come congettura peritam, un nome di pesce che sembra ancora piú raro di capito, anch’esso non presente in Plinio. Dobbiamo riconoscere che, se la corruzione fosse dovuta a tale eliminazione, allora peritam è una scelta molto piú felice di capitonemdal punto di vista paleografico.
Le riflessioni che abbiamo esposto per sanare il Capt. 850 meriterebbero forse qualche considerazione?
Note:
* Desidero esprimere la mia piú viva riconoscenza ai professori Remo Bracchi, Italo Ronca e Antonio Taglieri per i loro preziosi suggerimenti dati relativamente alla critica testuale. Un pensiero grato rivolgo alle dottoresse Laura Atzori e Nicoletta Chiapedi per aver migliorato il testo italiano. Ringrazio la Biblioteca ApostolicaVaticana di avermi per-messo di consultare i due codici plautini B e D.
[1] G. Goetz - F. Schoell (ed.), T. Macci Plauti comoediae, Lipsiae 1892-1907, t. ii, p. 98. Gli altri versi plautini citati seguono l’edizione di W. M. Lindsay, Oxonii 1904-1905.
[2] Le congetture precedenti, secondo quanto è a noi noto, sono otto: pernas Bothe; pernulamGeppert; muraenam Fleckeisen; percamque Brix; sepiolam Schoell; pectinemHallidie; <alium> pernam o pernam <alium> Chauvin; peritam Havet.
[3] Oltre alle congetture già citate nella nota 2, cfr. E. Cocchia (ed.), I Captivi di M. Accio Plauto, Torino 1886, p. 92; B. Lavagnini (ed.), Plauto. I Captivi, Firenze 1926, p. 68; L. Havet (ed.), Plaute. Les Prisonniers, Paris 1932, p. 85 bis. Per opinioni diverse vedi soprattutto J. P. Waltzing (ed.), Plaute. Les Captifs, Paris 1920, p. 109. Si noti che, oltre a “prosciutto”, perna significa anche“pinna marina”, una specie di mollusco. Alcuni studiosi preferirono interpretare, o almeno non negarono la probabilità di interpretare pernam del Capt. 850 come “pinna marina”. Cfr. A. Ernout (ed.), Plaute. Comédies, Paris 1932-1961, t. ii, p. 136; J. André, L’alimentation et la cuisine à Rome, Paris 1981, p. 105, p. 142.
[4] Con capitonemil quinto piede del v. 850 è un anapesto. In questa sede il settenario trocaico plautino ammette tutte
le sostituzioni. Cfr. C. Questa, Introduzione alla metrica di Plauto, Bologna 1967, p. 184.
[5] Cfr.Thesaurus linguae Latinae, vol. iii, col. 349; Æ. Forcellini, Lexicon totius Latinitatis, Bononiae 1965 (rist.), t. i, p. 525.
[6] Per piú ampie informazioni sull’ordine Anguilliformes vedi B. Grzimek (a cura di), Vita degli animali: moderna enciclopedia del regno animale, Milano 1969-1974, t. iv, pp. 190-209; A. Minelli - S. Ruffo (a cura di), Enciclopedia del regno animale, Milano 1985, t. iii, pp. 89-102.
[7] S. Battaglia (dir.), Grande dizionario della lingua italiana, Torino 1961-2002, t. ii, p. 696.
[8] Cfr. A. Palombi - M. Santarelli, Gli animali commestibili dei mari d’Italia, Milano 1986, 2001 (rist.), p. 209.
[9] F. Dupont, La vita quotidiana nella Roma repubblicana, Roma-Bari 2002[2], p. 290.
[10] M. A. Levi, Roma antica, Torino 1976, p. 96.
[11] S. Battaglia, op. cit., t. ii, p. 696.
[12] In realtà, il mare e il fiume (il lago) sono soltanto due habitat delle stesse anguille nei periodi diversi della loro vita. Cfr. N.Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Bologna 2000, p. 98.
[13] Edigeo (a cura di), Enciclopedia Zanichelli 2000, Bologna 1999, p. 99.
[14] F. Costa, Atlante dei pesci dei mari italiani. Milano 1991,p. 25. Il nome “capitone” è usato soltanto per designare i grossi esemplari, che sono solo femmine. Cfr. B. Lanza (a cura di), Grande dizionario del regno animale (t. vii in A. Minelli - S. Ruffo, op. cit.), p. 118.
[15] Si noti l’uso di atque. Anche Havet fece il confronto fra la sua congettura peritam ed ophthalmiam. Cfr. L. Havet, ed. cit., p. 85 bis.
[16] Cfr. E. Cocchia, ed. cit., p. 92; B. Lavagnini, ed. cit., p. 68; E. Paratore (ed.), Plauto. Le commedie, Roma 1976, 2004[3], t. ii, p. 95. Per piú ampie informazioni sulla lampreda vedi B. Grzimek, op. cit., t. iv, pp. 39-45, p. 49.
[17] Cfr. N. E. Angelio (ed.), Le commedie di M. Accio Plauto, Venezia, 1847, col. 368; F. Leo (ed.), Plauti comoediae, Berolini 1895-1896, t. i, p. 213; L. Havet, ed. cit., p. 85 bis; J. André, op. cit., p. 100; C. Questa - G. Paduano - M. Scàndola (ed.), T. Maccio Plauto. I Prigionieri, Milano 2000[2], p. 165.
[18] Cfr. A. Ernout, ed. cit, t. ii, p. 136; G. Augello (ed.), Le commedie di Tito Maccio Plauto, Torino 1968-1972, t. i, p. 513.
[19] Cfr. F. Costa, op. cit., p. 186; A. Minelli -S. Ruffo, op. cit., t. iii, p. 35.
[20] Cfr. H. Estienne, Thesaurus Graecae linguae, Graz 1954 (rist.), t. vi, col. 2444; Æ. Forcellini, op. cit., t. iii, p. 468, p. 496; Oxford Latin dictionary, Oxford 1968, p. 1238, p. 1253.
[21] E. de Saint-Denis (ed.), Pline l’Ancien. Histoire naturelle, Livre xxxii, Paris 1966, p. 73.
[22] Ibid., p. 133.
[23] Cfr. A. Palombi - M. Santarelli, op. cit., pp. 109-110.
[24] F. Costa, op. cit., p. 24.
[25] C. Pipitone - M. Thomas - M. Reina, I pesci delle acque costiere italiane, [Palermo] 1995, p. 65.
[26] F. Costa, op. cit., p. 186.
[27] Ibid., p. 187.
[28] Ibid., p. 25.
[29] Per piú ampie informazioni su Ergasilus vedi G. Treccani (dir.), Dizionario enciclopedico italiano, Roma 1955-1961, t. iv, p. 442; T. De Mauro (dir.), Grande dizionario italiano dell’uso, Torino 1999, t. ii, pp. 903-904; B. Lanza, op. cit., p. 240; B. Grzimek, op. cit., t. i, p. 475, p. 491. Quest’ultimo libro ci racconta che un altro crostaceo parassita chiamato Ergasilus sieboldi ha una lunghezza di 1-1,5 mmsoltanto. Dunque, sarebbe giusto chiedersi se l’Ergasilus gibbus fosse già conosciuto dagli antichi Romani all’epoca di Plauto.
[30] Edigeo, op. cit., p. 99.
[31] Cfr. F. Montanari, Vocabolario della lingua greca, Torino 2004[2], p. 1522. Vedi anche H. Estienne, op. cit., t. vi, coll. 2443-2444.
[32] P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque: histoire des mots, Paris 1968, t. ii, p. 812.
[33] Sembra superfluo dirlo, anguillast, elabitur è già una locuzione. Simili proverbi esistono in tante lingue moderne.
[34] L’anguilladel Pseud. 747 si riferisce al servo Simia, che riesce a sfuggire, appunto, anche se colto in flagrante.
[35] F. Costa, op. cit., p. 24.
[36] Ibid.
[37] Ibid., p. 25. Non sappiamo però se questo nome esistesse già all’epoca di Plauto.
[38] Cfr. G. Lodge, Lexicon Plautinum, Lipsiae 1904-1933, t. i, p. 236.
[39] Cfr. Thesaurus linguae Latinae, vol. iii, col. 349;Thesaurus linguae Latinae: onomasticon, vol. ii, col. 157; Æ. Forcellini, op. cit., t. v: Onomasticon (A - I), p. 329.
[40] Non sarebbe inutile notare che la Cdi Capitonibus nei codici BCD è minuscola. Nel passato duris capitonibus era la grafia uulgo adottata. Seguirono questa tradizione, fra altri, Bothe, Schoell, Goetz e Lodge. La correzione di c in C è veramente necessaria?
[41] L’altra occorrenza di anguilla, nel “Fr. ii. 20”(Fest. 166, 26), è risultata da una congettura moderna.
[42] Cfr. Cat. Agr. 158, 1. Il capito in Catone è molto probabilmente quello di mare.
[43] Eccetto il Capt. 850 e la congettura di Goetz - Schoell per il Capt. 847. Perna si legge anche in due frammenti: “Fr. i. 49” (Fest., 446, 1), “F. i. 101” (Varro, L. L. 7, 61).
[44] Cfr.Thesaurus linguae Latinae, vol. iii, col. 349.
[45] Si noti la frequenza assai alta di perna in Plauto, con il significato di “prosciutto”.
[46] Cfr. L. Havet, ed. cit., p. 116. Nella sezione “Elimination de mots rares” del “Catalogue des fautes”, Havet elencò ben piú di 60 versi, dei Captiui, in cui l’erudito francese credette aver potuto discernere una corruttela e la considerò dovuta a tale eliminazione. Vedi anche L. Havet, Manuel de critique verbale appliquée aux textes latins, Paris 1911, pp. 203-212.
Li Song-Yang