Catullo 71, 4: a te oppure autem? *
(Lepos e mores: una giornata su Catullo, Atti del Convegno Internazionale, Cassino, 27 maggio 2010.
A cura di A. M. Morelli, Edizioni Università di Cassino, 2012, pp. 137-150)
Si cui iure bono sacer alarum obstitit hircus,
aut si quem merito tarda podagra secat,
aemulus iste tuus, qui uestrum exercet amorem,
mirifice est † a te nactus utrumque malum.
nam quotiens futuit, totiens ulciscitur ambos: 5
illam affligit odore, ipse perit podagra.
1 cui Calph. (quoi Vossius) : qua V (qua al. quo R) iure Pall., Virro B. Guarinus : uiro V sacer alarum Calph. :
sacratorum O, sacrorum X 2 quem θ : quam V podraga X secat ζ : secunt O, secum X 3 nostrum g
Il nesso a te ha diviso per secoli e divide ancora la filologia catulliana: se da una parte numerosi studiosi hanno accettato e difeso la tradizione manoscritta [1], dall’altra sono già state avanzate una ventina di congetture [2]. Non essendoci ancora una opinione unani-me o predominante, il dibattito rimane aperto.
Anche nel presente contributo verrà messa in dubbio l’autenticità di a te, per i motivi che andremo esponendo.
I commenti sul passo dei difensori di a te suonano più o meno come quello di Massi-mo Lenchantin De Goubernatis: «Il poeta malignamente insinua che il rivale possa avere contratto […] indirettamente per mezzo dell’amante comune i mali dell’amico al quale scrive fingendo di compiacersi delle disgrazie dell’emulo di lui» [3]. Questa interpreta-zione, in cui si fa menzione di una serie di contagi – contagi parodici, ovviamente – di due malattie in un triangolo amoroso, ad una prima lettura sembra geniale, affascinante, catulliana [4]. Il buon senso ci induce tuttavia ad una riflessione: se la donna potesse trasmettere da un amante all’altro il cattivo odore di ascelle e la podagra, dovrebbe an-ch’essa emanare cattivo odore, nonché soffrire la gotta; forse dovrebbe perfino soffrirne di più rispetto alla sua vittima diretta, aemulus tuus. Se questo ragionamento è valido, allora è lecito chiedersi come mai aemulus tuus, ritornando a fare sesso con la donna, possa affligere illam con il fetore la cui origine è proprio la donna stessa; come mai egli riesce a ulcisci illam che emana proprio la stessa puzza, quotidianamente, dopo averla presa dal destinatario del carme [5]. Ci si potrebbe chiedere inoltre perché la sofferenza di podagra, che anche la donna dovrebbe avvertire, non sia affatto menzionata dal Poeta. Per colpa di a te perderebbero ulciscitur e affligit il loro effetto ironico; per colpa di a tesparirebbe la corrispondenza fra affligite perit, poiché lui perit davvero, lei invece non affligitur affatto; per conseguenza verrebbe distrutto anche il perfetto parallelismo fra i due emistichi del v. 6: illam affligit odore, ipse perit podagra. In fondo le due parole a te metterebbero in rischio l’efficacia sarcastica dell’intero carme. Per risolvere questi problemi, i difensori di a te hanno avanzato diverse ipotesi, talora molto sofisticate, ma tutte, a nostro giudizio, poco convincenti [6].
Ma le nostre obiezioni non finiscono qui. Mettendo da parte le condizioni di salute della donna e il suo ruolo di veicolo in tutta questa faccenda disgustosa, vi sono ulteriori considerazioni da presentare su un altro personaggio, finora trascurato: il destinatario del carme. Dalla lettura a te risulta chiaramente che è proprio lui l’origine di quelle due ma-lattie che infieriscono nel triangolo amoroso, quindi, naturalmente, vale anche per lui il contenuto dell’ultimo distico. Grazie alle sue proprie esperienze, l’amante tradito può in-tuire facilmente che cosa accade ogni volta che il suo aemulus se la spassa con la donna. A seguito di tali riflessioni, non possiamo trattenerci dal porre queste domande: perché Ca-tullo, rivolgendosi al destinatario dell’epigramma, avrebbe voluto informarlo di cose che quest’ultimo conosceva ancora meglio del Poeta stesso? Come si può dire che i due tradi-tori siano meritatamente puniti, se l’amante tradito, da parte sua, soffre non di meno la podagra, e affligit non di meno la donna con la sua puzza di ascelle? Questa punizione non sarebbe più effettiva se l’amante tradito e la donna traditrice non fossero entrambi vittime di quelli due malanni, malanni che l’aemulus, invece, mirifice est nactus? Detto questo, ci sembra che il bellissimo carme, per colpa di a te, rischi di perdere non solo tutta la sua uis comica, ma addirittura la sua ragione di esistere.
Questi motivi, a nostro parere, sono sufficienti per legittimare un intervento testuale [7]. Non avendo trovato qualcosa di plausibile fra le emendazioni precedenti [8], vorremmo proporre una nuova congettura che consiste nel correggere a te in autem, cioè:
mirifice est a‹u›te‹m› nactus utrumque malum
Perché autem? perché autem in questa parte del testo? Anzitutto citiamo di nuovo i primi quattro versi del carme, con le sottolineature diverse delle ‘parole pendents’, lascian-do vuoto lo spazio occupato da a te:
Si cui iure bono sacer alarum obstitit hircus,
aut si quem merito tarda podagra secat,
aemulus iste tuus, qui uestrum exercet amorem,
mirifice est [...] nactus utrumque malum.
Leggendo in questo modo il testo, si nota subito una opposizione evidente fra il primo distico e il secondo [9]: aemulus iste tuus si bilancia con cui e quem [10]; mirifice fa da contrappunto a iure bono [11] e merito; utrumque malum si pone in antitesi con alarum hircus aut podagra. Per esprimere meglio questa opposizione –una opposizione palese ma comunque non forte dato che la differenza è solo quantitativa e non qualitativa –, si renderebbe appunto necessario l’uso di autem. Il Poeta avrebbe messo autem dopo mirifice [12], invece di aemulus iste tuus – una posizione che ci si aspetterebbe – proprio per evi-denziare il contrasto fra questo avverbio e i due ablativi avverbiali iure e merito: ammalarsi iure aut merito di una delle due malattie è già una grande disgrazia; aemulus tuus mirifice autem est nactus entrambi i malanni. Usando utrumque malum Catullo ha genialmente riunito la prosaica locuzione iure ac merito nel v. 4 [13]. La congiunzione autem, inserita fra aut e nam, potrebbe rendere il nostro passo ancora più fluido, vivace e ritmico.
Corretto a te in autem, l’epigramma sembrerebbe meno piccante e divertente, giacché insieme con a te sparisce pure quella ipotetica serie di contagi nel triangolo amoroso. Però, l’intero carme, con il v. 4 da noi emendato, non soffre più di nessun paradosso o incoerenza [14]: dal momento che la donna non è colpevole per le malattie di aemulus tuus, la sua innocenza significa proprio la sua vulnerabilità, quindi ulciscitur e affligit possono riacquistare la loro massima efficacia sarcastica:
nam quotiens futuit, totiens ulciscitur ambos:
illam affligit odore, ipse perit podagra.
Come i primi quattro versi, anche quest’ultimo distico è pieno di ‘parole pendants’, che si corrispondono in modi diversi: quotiens / totiens, illam / ipse, affligit / perit, odore / podagra, e anche futuit / ulciscitur – l’atto sessuale, che dovrebbe procurare piacere a chi lo pratica, diventa invece una punizione per la coppia in questione: dei due protagonisti ognuno soffre nel suo proprio emistichio, in modo suo e per conto suo, ma l’uno e l’altra vengono vincolati dalla sinalefe in dieresi odor(e) ipse nella stessa scena erotica masochista. I tre distici concorrono a creare un componimento armonioso – per il contenuto nonché per lo stile – nel quale si riscontrano numerosi contrasti, opposizioni, parallelismi e soprattutto ripetizioni: ripetizioni verbali: si / si, cui / quem / qui, podagra / podagra; ripetizioni di concetto: alarum hircus / odore, secat / perit [15], iste / ipse, tuus / uestrum[16], amorem / illam, utrumque / ambos, quotiens / totiens. Si può affermare inoltre che iure aut merito sia ripetuto nel v. 4sotto la forma invisibile iure ac merito? Se con questa esegesi non abbiamo fin qui forzato il testo, allora vogliamo fare ancora un passo in avanti: se il Poeta avesse veramente scritto autem al posto di a te, potremmo scoprire un’altra ripetizione nascosta nel v. 6: illam affligit odore, ipse (autem, da parte sua) perit podagra, appunto.
Catullo adopera quattro volte autem nei vv. 64, 167; 64, 207; 64, 318 (ante pedes autem) e 66, 70, che è anche pentametro. Si potrebbe obiettare che l’ipotetico uso di autem nel nostro passo sia di scarsa probabilità, dato che questa congiunzione non si trova proprio negli epigrammi (cc. 69-116), né nei polimetri (cc. 1-60) del Poeta. È bene tuttavia non lasciarsi ingannare. Il breve c. 71 è in effetti una miniera ricca di pièces rares. Adesso vediamo più da vicino le occorrenze di queste pièces rares in Catullo e negli altri poeti latini [17]:
mirifice: questo avverbio, attribuibile alla lingua d’uso latina [18], è adoperato solo 89 volte in tutto il periodo antico della letteratura latina, e quasi esclusivamente dai prosatori; Catullo è l’unico poeta che l’abbia usato, per tre volte [19];
iure ac merito, la locuzione, che si intravede chiaramente nel nostro passo, si legge solo in Plauto una volta, e una in Giovenale [20];
quotiens … totiens: in Catullo una volta, in Virgilio una, Ovidio cinque, Seneca tre, Valerio Flacco una [21];
ala: è una parola di alta frequenza per i significati ‘ala di uccelli’ e ‘ala d’un esercito’; nel senso di ‘ascella’ si riscontra in Catullo due volte [22], in Plauto una, Orazio due, Ovidio una, Giovenale tre [23];
hircus: nel senso metaforico di ‘fetore di ascelle’ – oppure in senso più generale per i cattivi odori del corpo umano –, in Catullo una volta [24], in Plauto due, Orazio tre, Marziale due [25];
sacer hircus: Catullo è il primo poeta ad usare il nesso, che compare una sola volta nel Liber; in Virgilio una, Ovidio una [26];
podagra: in Catullo due volte, in Orazio due, Virgilio una, Tibullo una, Ovidio una, Marziale quattro (in tre epigrammi), Giovenale una [27];
odor: nel senso di ‘fetore del corpo umano’ in Catullo una volta [28], in Lucrezio due, Orazio una, Virgilio una, Ovidio una, Marziale due [29];
nancisci: nel senso di ‘contrarre una malattia’ oppure ‘scontrarsi con la sfortuna’ in Catullo una volta – la nostra è anche l’unica occorrenza di nancisci nel Liber; in Plauto una, Terenzio due, Lucrezio una [30];
futuere: il verbo si riscontra due volte in Catullo, una volta in Orazio, cinquanta volte in Marziale [31].
Dalla disamina qui sopra risulta che queste dieci parole o espressioni – per ala, hircus, odor e nancisci nelle loro specifiche accezioni che ci interessano in questa sede – sono usate
di rado sia da Catullo sia dagli altri poeti; fa eccezione solo futuere in Marziale. Nel caso di mirifice il Nostro costituisce un ‘unicum’ in assoluto in tutta la storia della poesia latina; quanto a quotiens … totiens, sacer hircus, odor, podagra e futuere, egli è probabilmente il primo ad introdurle nella poesia; per l’uso di iure (ac) merito, ala e hircus Catullo è prece-duto solo da Plauto, per nancisci solo da Plauto e Terenzio, tutti e due poeti comici [32].
Senza fare un confronto con gli altri poeti, si osserva che le parole obsistere, secare, affligere e aemulus sono usate da Catullo una volta sola, tutte nel c. 71, proprio come merito, quotiens … totiens, nancisci e il nesso sacer hircus; podagra è usata due volte ma sempre nel nostro carme, pure con valori prosodici diversi; fuori del c. 71 troveremo solo una volta ulcisci [33], ala, hircuse futuere, solo due volte tardus [34], exercere [35] e mirifice. Il nostro breve epigramma contiene infatti una quantità altissima di parole rare; per questo aspetto è difficile trovare nel Liber un’altra composizione ad esso paragonabile.
Ritorniamo adesso ad autem. Se verifichiamo le occorrenze delle tre congiunzioni avversative principali sed (set), at e autem nelle LLT-A e LLT-B [36], le troveremo rispettivamente 524186, 22652 e 307157 volte; nel periodo antico: 31793, 5972, 11885; nella produzione poetica del periodo antico: 4935, 2309, 404; in Catullo e nei poeti citati supra nella nota 17: 4621, 2139, 367 [37]. Le percentuali di sed (set), at e autem usate dai poeti del periodo antico sulle loro occorrenze totali dello stesso periodo sono rispettiva-mente 15.52%, 38.66% e 3.40%. Questi dati statistici parlano chiaro: fra le tre congiun-zioni, autem è indubbiamente quella più prosaica; non stupisce pertanto la sua rara presen-za nei testi poetici [38]. Proprio per questo motivo, il ‘tassello’ autem potrebbe incastonarsi
perfettamente nel nostro ‘opus musiuum’, accanto a mirifice, iure (ac) merito, quotiens … totiens, saceralarum hircus, podagra, odore, nactus, futuit, obstitit, secat, affligit, aemulus e tarda; sono appunto in queste parole o espressioni che risiedono le caratteristiche linguistiche più salienti del carme, cioè la prosaicità e la rarità lessicale e semantica. Concludendo, possiamo dire che l’assenza di autem negli altri epigrammi di Catullo sia proprio favore-vole alla nostra congettura, e non il contrario.
Per l’obbligo di metrica autem non può seguire immediatamente mirifice, ma risulta separata da quest’ultimo da est; questa ‘irregolarità’sarebbe facilmente tollerabile, dal mo-mento che la prodelisione, unendo strettamente mirifice ed est come una sola parola, cioè mirificest, fa sparire – per così dire – il brevissimo elemento separatore. Come sostegno di mirifice est autem citiamo qui Plaut. Epid. 621: hic est danista, haec illa est autem quam emi de praeda. Nel v. 4 da noi emendato autem si legge alla fine del primo emistichio – una posizione notevole per il suo valore espressivo –, proprio come in un pentametro ovidiano, Am. 2, 2, 28: quis minor est autem quam tacuisse labor [39].
La corruzione da autem in a te (ate) è possibile. È vero che il dittongo iniziale au- nei codici catulliani non è mai corrotto altrove in a- [40]; tuttavia, se autem, una particella di uso frequente, fosse abbreviata in atˉ (oppure in atē ?) nell’archetipo, l’errore divente-rebbe molto probabile [41]. Nel caso contrario, la -u- potrebbe comunque cadere nel modello a causa di un deterioramento materiale [42]; la caduta della -m finale è invece molto frequente[43]. Si noti inoltre che nel v. 66, 70 autem è corrotto in aut (V).
Concludendo, proponiamo una nostra traduzione del c. 71, con la correzione di a te in autem:
Se giustamente qualcuno è impedito dall’esecrabile caprone delle sue ascelle,
oppure se meritatamente qualcun altro è lacerato dalla gotta anchilosante,
il tuo rivale, che se la spassa con la tua donna,
ha acquistatoinvece miracolosamente entrambi i malanni.
Infatti, ogni volta che fotte, ogni volta punisce ambedue:
lei con una valanga di puzza, lui con il crepare di gotta.
Bibliografia:
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Note:
* Sono particolarmente grato al dott. Virgilio Irmici, che ha voluto discutere con me l’argomento trattato, dandomi costruttivi suggerimenti. Il mio cordiale ringraziamento anche ai proff. Jennifer L. Ferriss e David Kutzko che hanno messo a mia disposizione i loro contributi recentemente pubblicati e a Gian Piero de Bellis e Laura Atzori che hanno corretto il testo italiano. Esprimo inoltre riconoscenza al prof. Alfredo M. Morelli, che ha voluto raccogliere il presente contributo in questi Atti. Il testo catulliano riprodotto segue R. A. B. Mynors (ed.), C. Valerii Catulli Carmina, Oxonii 1958; per la verifica della tradizione manoscritta abbiamo consultato anche F. Della Corte (ed.), Catullo. Le poesie, [Milano] 2003(10) [1977]. In questa sede ci limiteremo a proporre autem per correggere a te, senza soffermarci sugli altri problemi testuali, né sull’identificazione dei tre personaggi del c. 71.
[1] Ad esempio, Parthenius, Palladius, B. Guarinus, Scaliger, Passeratius, Vulpius, Corradini De Allio, Doering, Silligius, Lachmann, Ellis, Munro, Riese, Merrill, Cornish, Lafaye, Lenchantin, D’Arbela, Pighi, Bardon e Della Corte.
[2] Le congetture da noi raccolte sono: apte Dresd.1 (Schoell, Herrmann, Oksala, Kaster, Thomson), actuAld.2 (ed. Gryph. 1542, Statius), Acti uir doctus in exempl. Marc. (4021) Ald.2, mirifico est astu Muretus (Kroll), tactuTurnebus, arti [pro arte] Marcilius, ac tu Vossius (Pohlius), aestu Ramlerus, adeo Handius, mirificast Ate [i. e. Ἄτῃ] Hauptius, mirifico est fato G. Hermann (Froehlichius, Hauptius, Mueller, Benoist - Thomas -Rostand, Owen, Poeschl), Atei [ab Ateius] Heysius (Shwabius malit Atei (Attei) ab Atius (Attius) ductum), mirifice est fatoRossbach (Westphal, Schmidt, Schuster, Helm), certe Peiper (Rubenbauer), mirifica est poena Baehrens, antehac Friedrich, a se Postgate, Cornifici, est alter Philli-more, Alli Kroll, ad te Castiglioni (Cazzaniga, Wallach, Granarolo), mirifice est, Quinti Goold, ‹Caeli›, mirificest aptus [Caeli Pleitner] Trappes-Lomax. Seguendo Mynors, W. Eisenhut crocifigge ancora a te (cfr. W. Eisenhut (ed.), Catulli Veronensis Liber, Lipsiae 1983, 83).
[3] M. Lenchantin De Gubernatis (ed.), Il Libro di Catullo, Torino 1988 [1928], 229. Vedi anche E. V. D’Arbela (ed.), Catulli Veronensis Liber, Milano 1947, 203; H. Bardon (ed.), Catulli carmina, Bruxelles 1970, 189.
[4] Contrariamente a quanto opinato da alcuni studiosi, il fatto che le due malattie in questione non sono contagiose non costituirebbe in sé, a nostro giudizio, una obiezione valida e decisiva per negare l’autenticità di a te; anche noi consideriamo la lezione dubbia, ma per motivi ben diversi. Ringraziamo qui il dott. Virgilio Irmici per le sue lucidi osservazioni sull’argomento.
[5] Certo, un individuo che trasmette una malattia contagiosa può rimanere lui stesso sano, senza accusare alcun sintomo. Però, vogliamo ribadire che la malattia in questione è la puzza di ascelle, il cui sintomo non è latente, ma ben manifesto. Se a te fosse autentico, dovremmo concedere che la donna comune, pur trasmettendo il fetore da un amante all’altro, sia rimasta lei stessa ‘improfumabile’, per poter essere efficacemente afflicta odore dalla sua vittima diretta; il che è per noi difficilmente concepibile.
[6] Cfr. fra altri R. Ellis, A Commentary on Catullus, Oxford 18892 [1876], 436; E. T. Merrill (ed.),Catullus, Boston-London 1893, 194; J. Nicholson, Goats and Gout in Catullus 71, «Classical World», 90 (1997), 251-261; C. Nappa, The Goat, the Gout, and the Girl, «Mnemosyne», 52 (1999), 266-276; D. Kutzko, Catullus 69 and 71: Goat, Gout, and Venereal Disease, «Classical World», 101 (2008), 443-452.
[7] Si può attacare a te anche per il motivo di sintassi, come fece G. Friedrich? Se il nesso morbum nancisci è attestato (cfr. infra la nota 30), «aber morbum nancisci ab aliquo wäre nachzuweisen» (G. Friedrich (ed.), Catulli Veronensis Liber, Leipzig-Berlin 1908, 485). In effetti, dalla nostra minuziosa verifica non risulta alcun esempio della costruzione morbum
ab aliquo nancisci, ‘contrarre una malattia da qualcuno’. Però, anche se si tratta qui di due malattie, Catullo non scrive morbum, che è impossibile per il metro, bensì malum. J. P. Postgate citò un passo enniano a sostegno della sua emendazione a se, quindi anche indirettamente a sostegno di a te, contro l’osservazione di Friedrich (cfr. J. P. Postgate, On Catullus, «Classical Philology», 7 (1912), 1-16: 16): Enn. Fr. Sc. 357-359: Tantalo prognatus, Pelope natus, qui quondam a socru / Oenomao rege Hippodameam raptis nanctus nuptiis, / Iouis iste quidem pronepos. OLD ha citato solo una parte del v. 358: Hippodameam […] nuptiis – cioè senza mettere in evidenza la costruzione aliquem ab aliquo nancisci – per il terzo significato del verbo «to get (a person) attached to one in a particular relationship or connection». Abbiamo trovato due passi più assimilabili al verso catulliano: Sis. Hist. 62: signum nanctus a Papio, quod inter eos tolli conuenerat, citato da OLD per il secondo significato «to acquire, get, obtain (abst. things)», Pomp. Trog. Prol. 22: ut a Poenis nanctus imperium bellum cum ipsis gessit. Se non ci fossero queste (poche) testimonianze della costruzione aliquid (uel aliquem) ab aliquo nancisci, a te sarebbe ancora più difficile da difendere. Tuttavia, vogliamo fare notare che né Forcellini né OLD hanno citato Catull. 71, 4 per nessuno dei significati di nancisci, forse proprio per la sua sospetta autenticità.
[8] Fra le numerose congetture, apte e fato sono le due più accettate; cfr. R. A. Kaster, A Note on Catullus, c. 71. 4, «Philologus», 121 (1977), 308-312. Vedi però J. Granarolo, Sur une critique textuelle des poésies de Catulle, «Revue des études latines», 43 (1965), 95-109: 104; K. Quinn (ed.), Catullus. The Poems, London 19732 [1970], 400; J. M. Trappes-Lomax, Catullus: A Textual Reappraisal, Swansea 2007, 248. Si noti che Mynors nel suo apparato critico non ha citato nessuna delle congetture già proposte.
[9] Nei codici catulliani si legge così il v. 1: si qua uiro bono sacrorum (sacratorum O) obstitit hircus; il testo di Mynors – e anche quemdel v. 2 – è ormai quello generalmente accettato dai critici. Proponendo autem, vorremmo seguire ben volentieri questa tradizione, che si adegua bene alla nostra esegesi. Nel passato il v. 1 è stato diversamente corretto, ad esempio: si qua uiro bello sacrorum o. h. ed. Regii 1481, si cui uirrobon […] Parthenius, si quoi iure bono sacra res o. h. Palladius, siqua uiro blanda est, cui mox sacer o. h. Auantius, si cui (quoi), Virro, […] G. Guarinus (Vulpius, Corradini De Allio, Doering, Lachmann, Ellis), si cui, Virro, homini […] ed. Gryph. 1542 (Muretus), si qua, Virro, bono sacro ritu o. h. Scaliger, si quoi, Virro, bono ritu, sacer o. h. Marcilius, si quoi, Virro, domos sacer alarum obsidet h. Meleager, si qua, Virro, […] Vossius, [si quoi, Virro, bono (?)] caper alarum o. hirtus [forte] Heinsius, si quoi, Virro, bono sacrorum o. h. Lachmann,si quoi iure Bonae sacratorum officit h. Froehlichius, † si qua uiro bono sacrorum o. h. Rossbach, si quoi, Vibulli, […]Pohlius, si quoi, Virro, bono sacer introsum o. h. [fortasse] Ellis, si quoi, Virro, bono sacratorum o. h. Baehrens, siqua iure bono sacer, o Rufe, o. h. Munro, si quoi iure bonae scortatorum o. h. Palmer, siquoi, uir bone, sacrato iure o. h. Baehrens, si quei, Virro, Bonae scortatorum o. h. Ellis, si quoi, Virro, Bonae sacratarum o. h. [fortasse] Ellis, si quoi iure bono scortatorum o. h. Birt, si quoi scortorum uiro bonus o. h. Phillimore, sicui uirus, Oto, ac […] Pighi, siqua […] Goold. Quanto a quem del v. 2, non mancano neanche le opinioni diverse: aliquam ed. Regii 1481, aliquem Parthenius, siqua Munro (Goold).
[10] «On ne peut conserver […] Si qua (εἴ πως), parce que les mots du v. 3: Aemulus iste tuus, doivent forcément s’opposer à un nom ou à un pronom; de là les Aldines de 1502 et 1515 écrivent: Si cui» (E. Benoist - É. Thomas - E. Rostand (edd.), Les poésies de Catulle, Paris 1882-1890, t. II, 729).
[11] Seguendo la communis opinio della critica, leggiamo iure bono, e non cui bono. Accanto alle numerose occorrenze di iure optimo (optimo iure), sono attestati anche i nessi bono iure e meliore iure; cfr. Plaut. Bacch. 613: sine bono iure atque honore; Most.658: nec minus bono cum iure quam danisticum; Cic. Verr. 6, 58: quae colonia est in Italia tam bono iure. Per meliore iure cfr. Cic. (Att. 5, 21, 12); Leg. Agr. (3, 8); 3, 9; Liu. 39, 37, 14. Vedi però F. G. Doering (ed.), C. Valerii Catulli carmina [...], Aug. Taurinorum 1820, 300; E. Benoist - É. Thomas -E. Rostand, ed. cit., t. II, 731; J. P. Postgate, Catulliana, «Journal of Philology», 17(1888), 226-267: 254; R. Ellis, op. cit., 436; F. W. Cornish (ed.), Catullus, revised by G. P. Goold, London-Cambridge (Mass.) 19882 [1913], 153.
[12] Per le numerose occorrenze di autem dopo un avverbio o un avverbiale cfr. TLL, vol. II, coll. 1583-1584, 1591. Citiamo qui alcuni passi più paragonabili al nostro: Plaut. Cas. 772: digne autem; Men. 906: condigne autem; Cic. Fin. 2, 27, 86: beate autem; Off. 1, 16, 50: optime autem; Rep. 2, 3: facilius autem; Liu. 37, 21, 7: egregie autem.
[13] Cfr. R. A. Kaster, art. cit., 109; per le nostre discussioni su iure ac merito vedi più avanti.
[14] È superfluo ricordare che lo scopo della critica testuale non è migliorare, bensì restituire il testo originale.
[15] «Wenn es zum schlusz heiszt ipse perit podagra, so wird wol statt des auffälligen secat zu lesen sein tarda podagra necat» (J. Mähly, Zu Catullus,«Jahrbücher für classische Philologie», 103 (1871), 341-357: 355).
[16] Cfr. A. E. Housman, Vester = tuus, «Classical Quarterly», 3 (1909), 244-248.
[17]A bbiamo esaminato i vocabolari di Plauto, Terenzio, Cicerone il Poeta, Lucrezio, Virgilio, Orazio, Tibullo, Properzio, Ovidio, Manilio, Germanico, Fedro, Seneca il Tragico, Persio, Lucano, Marziale, Stazio, Silio Italico, Valerio Flacco e Giovenale. Oltre alle concordanze dei singoli poeti, abbiamo consultato anche ‘Full-Text Databases’ in Brepolis Publishers online, Library of Latin Texts – Series A (LLT-A): < http://www.apps.brepolis.net> (08/07/2010). In caso di divergenza abbiamo seguito LLT-A, con poche eccezioni.
[18] Cfr. J. B. Hofmann, La lingua d’uso latina, ed. it. a cura di L. Ricottilli, Bologna 20033 [1980], 205.
[19] Cfr. Catull. 53, 2; 84, 3. Fra i prosatori Cicerone adopera mirificefino a quarantuno volte, Scribonio Largo venti, Valerio Massimo otto, Plinio il Vecchio sette. L’aggettivo mirificussi legge in Ter. Phorm. 871; Ou. Pont. 4, 13, 5; Anth. Lat. 481, 259; 549, 1.
[20] Cfr. Plaut. Most. 713: te ipse iure optumo merito incuses licet; Iuu. 2, 34-35: nonne igitur iure ac merito uitia ultima fictos / contemnunt Scauros et castigata remordent (vedi anche Cic. Dom.2; Liu. 26, 41, 3; 27, 13, 10). Per le altre forme della locuzione cfr. Cic. Catil.3, 14: merito ac iure; Marcell. 4: merito atque optimo iure; Sen. Clem. 1, 12, 1: iure meritoque (vedi anche Val. Max. 1, 6, 3; Curt. 10, 9, 3; Flor. Epit. 2, 19, 2; Front. Amic. 2, 7, 2; Parth. 4; Apul. Apol. 20, 92, ecc.).
[21] Cfr. Verg. Aen. 12, 483-485; Ou. Met. 3, 451-452; 10, 164-166; Epist. 10, 23; 20, 115-116; Pont. 4, 9, 111-112; Sen. Herc. O. 425-426; 614-615; Phaedr. 175-177; Val. Fl. 6, 683-685. Come in Catull. 71, 5, quotiens … totiens ha lo stesso valore metrico in Ou. Epist. 10, 23: et quotiens ego te, totiens locus ipse uocabat, una reminiscenza catulliana? Si noti che Catullo e Ovidio sono gli unici due poeti che abbiano incastonato quotiens … totiens in uno stesso verso.
[22] Cfr. Catull. 69, 6: ualle sub alarum trux habitare caper.
[23] Cfr. Plaut. Pseud. 738; Hor.Epist. 1, 13, 12; Epod. 12, 5; Ou. Ars. 3, 193; Epist. 1, 94; Iuu. 10, 178; 11, 157; 14, 195. Vedi anche Plaut. Poen.871-873: SY. sine pinnis uolare hau facilest: meae alae pinnas non habent. / MI. nolito edepol deuellisse: iam his duobus mensibus / uolucres tibi erunt tuae hirquinae; in questo passo esiste ovviamente un gioco di parole sui due significati ‘ala’ e ‘ascella’ di ala. Per eliminare lo iato tuae | hirquinae, F. H. Bothius propose una integrazione: uolucres‹alae› tibi, che fu accettata da G. Goetz e G. Loewe nella loro edizione di Poenulus (Lipsiae 1884).
[24] Vedi anche Catull. 37, 5.
[25] Cfr. Plaut. Most. 40; Pseud.738; Hor. Epod. 12, 5; Sat. 1, 2, 27; 1, 4, 92; Mart. 4, 4, 4; 6, 93, 3. Vedi anche Plaut. Cas. 550: hirqui inprobi (‹olidi› Palmer) edentuli; Men.838: hircus (Beroaldus) olidus (Seyffert). L’aggettivo hircosus viene usato una volta da Plauto (Mer. 575), una volta da Persio (3, 77), e tre volte da Marziale (9, 47, 5; 10, 98, 10; 12, 59, 5); Plauto adopera anche hircinus due volte in Poen. 873 e Pseud. 967.
[26] Cfr. Verg. Georg. 2, 395: et ductus cornu stabit sacer hircus ad aram; Ou. Fast. 2, 441: ‘Italidas matres’ inquit ‘sacer hircus
inito’. Il nesso si riscontra anche in Buc. Eins. 2, 19 (= Anth. Lat. 726, 19, Riese): Tibia laeta canit, pendet sacer hircus ab ulmo. Si noti che Catullo è l’unico poeta che abbia fatto uso di sacer hircus in modo ironico. Per le occorrenze di hircus in sacrificiis cfr.TLL, vol. VI, col. 2821.
[27] Cfr. Hor. Epist. 1, 2, 52; Sat. 1, 9, 32 (tarda podagra); Verg. Georg. 3, 299; Tib. 1, 9, 73; Ou. Pont.1, 3, 23; Mart. 1, 98, 1; 7, 39, 4; 7, 39, 9; 9, 92, 9; Iuu. 13, 96. Plauto usa due volte podagrosus in Mer. 595 e Poen. 532.
[28] Vedi anche Catull. 64, 87; 64, 284; 68, 144.
[29] Cfr. Lucr. 4, 1175; 6, 1154; Hor. Epod. 12, 8; Verg. Aen. 3, 228; Ou. Ars. 3, 277; Mart. 1, 87, 6; 6, 93, 7; Stat. Theb. 2, 86. Vedi anche Plaut. Men. 168.
[30] Cfr. Plaut. Asin. 325: cupio malum nanciscier; Ter. Andr. 967-968: more hominum euenit ut quod sim nanctus mali / prius rescisceres tu quam ego illud quod tibi euenit boni; Phorm. 543: non triumpho, ex nuptiis tuis si nil nanciscor mali; Lucr. 6, 1101-1102: ubi putorem umida nactast / intempestiuis pluuiisque et solibus icta. Vedi anche Nep. Ages. 8, 1: atque hic tantus uir ut naturam fautricem habuerat in tribuendis animi uirtutibus, sic maleficam nactus est in corpore fingendo; Nep. Att. 21, 2: nactus est morbum, quem initio et ipse et medici contempserunt; Suet. Tit. 10: deinde ad primam statim mansionem febrim nanctus; Lucr. 2, 871-873:quippe uidere licet uiuos exsistere uermis / stercore de taetro, putorem cum sibi nacta est / intempestiuis ex imbribus umida tellus. In Plauto ut nanctu’s, habe “est formula malum cuique contigisse gaudentis, ti sta bene, tuo danno” (Forcellini, vol. III, p. 330); cfr. Rud. 871; Trin. 63; Truc. 844.
[31] Cfr. Catull. 97, 9; Hor. Sat.1, 2, 127; E. Siedschlag, Martial: Konkordanz, Hildesheim-New York 1979, 351-352. Vedi anche Priap. 13, 1; Anth. Lat.297, 1; 297, 5; 297, 7; 317, 3; 368, 1.
[32] Tutte queste parole o espressioni – per ala, odor e nancisci nei loro sensi che ci interessano – non si trovano infatti nei frammenti di Livio Andronico, Nevio, Ennio, Cecilio Stazio, Pacuvio, Accio e Lucilio.
[33] Cfr. Catull. 44, 17.
[34] Cfr. Catull. 63, 19; 66, 67. Vedi anche 64, 272 (tarde).
[35] Cfr. Catull. 61, 228; 68, 69.
[36] I dati statistici che seguono sono quelli che abbiamo consultato l’8 luglio 2010.
[37] Precisamente in Catullo: sed 80, at 34, autem 4; Plauto: 794, 372, 138; Terenzio: 237, 114, 59; Cicerone: 20, 27, 11;
Lucrezio: 136, 113, 16; Virgilio: 193, 181, 35; Orazio: 105, 62, 3; Tibullo: 50, 48, 0; Properzio: 81, 80, 1; Ovidio: 835, 411, 7; Manilio: 120, 46, 4; Germanico: 33, 30, 0; Fedro: 58, 20, 9; Seneca: 213, 60, 1; Persio: 21, 13, 0; Lucano: 243, 65, 0; Marziale: 451, 70, 1; Stazio: 439, 134, 40; Silio Italico: 238, 168, 9; Valerio Flacco: 111, 74, 19; Giovenale: 163, 17, 10.
[38] Il caso di Seneca è molto rappresentativo: il filosofo si serve di autem fino a 685 volte in prosa, ma una volta sola nelle sue tragedie (cfr. Tr. 927).
[39] Spesso autem si legge pure alla fine di un verso, soprattutto in Lucrezio e Giovenale; cfr. Lucr. 1, 857; 3, 561; 4, 152; 6, 103; 6, 779; Iuu. 3, 209; 6, 181; 10, 295; 10, 314; 13, 20; Hor. Ars.53; Ou. Met. 9, 143; Mart. 7, 33, 1; Stat. Theb. 4, 592; 8, 671; Anth. Lat. 556, 3; 689b, 26. Per le posizioni insolite di autem, sia in verso sia in frase, vedi anche Plaut. Mer. 119; Mil. 1149; Ter. Haut. 251; Lucr. 6, 408; Verg. Aen. 2, 101, ecc.
[40] In tre casi il dittongo -au- interno è corrotto in modi diversi: 64, 389: tauros : currus (V); 68, 67: clausum : classum
(G R); 81, 3: Pisauri : pisanum (O).
[41] Anche Friedrich ha pensato alla forma abbreviata per spiegare la sua congettura: ANTEHACNACTVS → ātehac nactus → a te nactus (cfr. G. Friedrich, ed. cit., 485).
[42] Cfr. le congetture apte, actu, Acti, astu, tactu, arti, ac tu, aestu, alter, ad te, aptus.
[43] Le cadute della -m finale ricorrono in tutto il Liber; cfr. i vv. 24, 9: quam : qua (G); 62, 60: aequom : equo (V); 64, 200: solam : sola (V); 64, 207: mentem : mente (V); 64, 231: tum : tu (G R); 64, 296: quam : qua (V); 65, 1: confectum : defectu (O); 67, 7: agedum : age de (V); 68, 131: tum : tu (V); 73, 5: quem : que (V); 76, 18: extremam : extremo (V); 91, 4: mentem : mente (V); 104, 3: amarem : amare (V); 107, 6: lucem : luce (V); 109, 1: amorem : amore (V); 113, 2: Moeciliam : mecilia (O R).
Li Song-Yang