Nota a Catullo 61, 189 *
(Maia, 59 (2007): pp. 283-288)
Nei codici catulliani il v. 189 del carme 61 è corrotto:
Ad maritum tamen iuuenem / Caelites […].
G. Scaligero propose di leggere:
At, marite, ita me iuuent / Caelites […] [1].
Il senso del verso così corretto si adatta bene al contesto; per di più, l’emendamento è avvalorato da due versi catulliani 66, 18: non, ita me diui, uera gemunt, iuerint, e 97, 1: non (ita me di ament) […]. La congettura è senz’altro geniale. Stupisce, tuttavia, che la filologia, dopo aver accettato – quasi con religioso silenzio – una correzione eccellente, abbia smesso di occuparsi di un verso così problematico, sul quale sarebbe necessario ancora discutere, dialogare, riflettere profondamente. Il nostro contributo, insomma, intende essere di stimolo ad un dibattito – se mai ce n’è stato uno – precocemente sopito.
A. Statius disse: “Auantius legisse se adfirmat in ueteribus libris, Ad Martem tamen iuuenem” [2]. Considerando Martem come una lezione rispettabile [3], ci siamo chiesti se il v. 189 non possa leggersi:
1) at Martem iuuenem tamen, / caelites! oppure
2) at Martem iŭerint tamen / caelites, oppure
3) ac Martem tamen incitant (o incitent) / caelites.
1. At Martem iuuenem tamen, / caelites!
At: con at tamen, “tuttavia”, “nondimeno” [4], il Poeta avrebbe voluto evidenziare l’opposizione tra le proposizioni riguardanti rispettivamente Iunia e Manlius [5], cioè:
Iunia at (ac) tamen Manlius
ore floridulo nitens ↔ nihilo minus pulcer es
non diu remoraris ↔ perge, ne remorare
bona te Venus iuuerit ↔ neque te Venus neglegit
Dopo questo confronto, siamo ancora più convinti che la strofa costituita dai vv. 194-198 riguardi Iunia anziché Manlius, e che i vv. 189-193 seguano i vv. 194-198, come nel testo dei codici. Nello stesso tempo, vorremmo riproporre l’attribuzione alterna delle quattro strofe (vv. 179-198) ai due cori femminile e maschile [6].
Martem: il marito è paragonato a Marte, dio della guerra, padre di Romolo e caposti-pite dei Romani [7]. Con questa metafora il Poeta avrebbe voluto ostendere a Iunia lo splendore di Manlius, dopo averle già illustrato la nobiltà e la ricchezza della famiglia dello sposo (cfr. vv. 149-150): Manlius, molto probabilmente Lucius Manlius Torquatus, diven-terò pretore nel 49 a. C. [8].
Nell’archetipo Martem potrebbe essere stato poco leggibile [9]; gli scribi, per influsso del contesto e soprattutto a causa della presenza di marite nel v. 184, l’avrebbero copiato incoscientemente in maritum, banalizzando il testo sul piano stilistico. Infatti, leggendo il c. 61, si attenderebbe, da un momento all’altro, l’apparizione della metafora di Marte per lo sposo, visto che il Poeta, quando dipingeva per la prima volta la sposa (cfr. vv. 16-25), ha già creato la relazione fra Venere e Iunia [10]. È superfluo ricordare che Venere e Marte (Afrodite ed Ares) costituiscono una coppia simbolo [11]. La metafora Venere-Iunia / Marte-Manlius non sembra dunque una forzatura. Troviamo, pertanto, che la lezione Martem sia rivalutabile, malgrado goda solamente di una testimonianza indiretta [12].
Iuuenem: sulla lezione iuuenem concordano i codici G, R e O, ma nessuno studioso – eccetto Statius [13] – ha mai provato a difenderla; A. Parthenius addirittura la eliminò invece di correggere [14]. A nostro parere, iuuenem meriterebbe una certa considerazione: il c. 61 è un epitalamio, cioè una poesia d’amore, nel quale il concetto di “gioventù”, strettamente collegato a quello di “amore”, è ben evidenziato dal Poeta. Possiamo con-frontare innanzitutto con iuueni del v. 56: tu fero iuueni in manus, che si riferisce ugualmente allo sposo; anche con i vv. 227-228: munere assiduo ualentem / exercete iuuen-tam, cioè, proprio con iuuenta il Poeta termina il suo canto, inno dell’amore e della gio-ventù. In più, è lecito sottolineare le occorrenze assai numerose di flos e di floridus nel c. 61, precisamente nei vv. 6: cinge tempora floribus; 21: floridis uelut enitens; 57: floridam ipse puellulam; 89: stare flos hyacinthinus; 186-188: ore floridulo nitens / alba parthenice uelut / luteumue papauer. Queste due parole alludono ovviamente all’età “primaverile” dei due sposi.
Martem iuuenem: si delinea così una chiara metafora mitica che vede in Marte il corrispettivo divino di Manlius. Questa identificazione, che muove da un repertorio di immagini piuttosto tradizionale, ha qui, però, una sua precisa motivazione che va al di là della topica erotica. Manlius è un giovane militare [15] dal florido avvenire, e Marte, il dio della guerra, “è anche il dio della primavera, poiché la stagione della guerra comincia con la fine dell’inverno. È il dio della giovinezza, perché la guerra è l’oggetto dell’attività giovanile. Proprio lui guida, durante le « primavere sacre », i giovani che emigrano dalle città sabine per fondare nuove città e trovare nuovi insediamenti. Infatti, presso i Sabini, esisteva l’usanza di consacrare a Marte tutta una « classe » della gioventù” [16]. Se ne può dedurre, quindi, che il nesso Martem iuuenem sia sorto nel Poeta con grande naturalezza e facilità.
Tamen: l’inversione di tamen e iuuenem è facile da spiegare: ci sono altri interventi identici – e non pochi – nelle edizioni correnti; incontriamo nel c. 61 una inversione di due parole vicine nei vv. 5: Hymen Hymenaee : hymenee hymen (V); 46-47: est amatis : amatis est (V); 185: tibi est : est tibi (V) [17]. Dopo il nostro intervento tamen si trova alla fine del v. 189. È da notare che tamen si legge ben 18 volte (compreso attamen di 64, 160) in Catullo, ma mai alla fine di un verso. Questa collocazione di tamen non è comunque impossibile: Orazio non si vieta di terminare un verso con questo avverbio [18]; e nemmeno Parthenius trovò scandalosa quella posizione, come attesta la sua emendazione, che fu apprezzata ed accolta da parecchi studiosi.
La strofa: in seguito alla nostra correzione risulta che caelites è vocativo e Martem iuuenem l’apposizione di te, cioè il complemento oggetto di neglegit. Questo iperbato può apparire a prima vista poco accettabile, a causa della considerevole distanza fra Martem iuuenem e te. Ma in Catullo non mancano altri esempi di arditi iperbati [19]. J. B. Hof-mann e A. Szantyr scrivono: “Parallelamente al progressivo sviluppo della lingua poetica romana, i primi a liberarsi del ritegno sino a quel punto usuale (nell’uso di iperbato) sono in parte Catullo, che di tanto in tanto rovescia senza alcuno scrupolo gli elementi della frase […]” [20].
2. At Martem iŭerint tamen / caelites
Oltre che sulla correzione scaligeriana, questa seconda proposta si basa anche su iuerint di Catull. 66, 18 [21]. Il verso così emendato intenderebbe: ma gli dèi avranno aiutato nondimeno Marte (il marito).
Paleograficamente iuerint non è remoto da iuuenem, ma una correzione è sempre più invasiva del conservare una lezione tale e quale. Però, con iuerint, 1) caelites diventa nominativo e soggetto della frase, il passo appare più naturale; 2) è più forte l’opposizione fra la strofa dei vv. 194-198 e quella dei vv. 189-193 – si noti iuueritdel v. 196, stesso verbo, stesso tempo, stesso modo, cambia soltanto il numero, ma appunto, poiché i pueri avrebbero voluto superare le uirgines (caelites iuerint Manlium > Venus iuuerit Iuniam) nella competizione del canto [22]; 3) nasce un enjambement (puro) fra i vv. 189 e 190, così il parallelismo metrico delle due strofe è ancora più evidente e completo.
3. Ac Martem tamen incitant (o incitent) / caelites [23]
Ac: a paragone di iuuo, incito esprime un’azione più concreta: perciò, preferiamo ac ad at per la terza proposta. Infatti, rafforzato da tamen, ac ha sempre il valore di evidenziare l’opposizione fra le due strofe, ma può anche “rilevare un momento successivo di tem-po” [24], cioè “tuttavia, infine”: l’arrivo di Manlius, che segue la collocatio di Iunia, è appunto l’ultimo momento prima dell’unione degli sposi nel talamo.
Incitant (o incitent): abbiamo pensato di correggere iu- di iuuenem in in- per aprire l’ultima sillaba di tamen, e fra i verbi con in- iniziale abbiamo scelto incito [25]. Con questo verbo il passo intenderebbe: la bellissima sposa è già stata collocata nel talamo, “tuttavia, infine, gli dèi spingono (spingano) ed eccitano (eccitino) Marte” – perché lui sia vicino (il corpo) al talamo e pronto (l’animo) per l’amore –, un senso che si adeguerebbe bene al contesto [26].
Sul piano paleografico incitant e incitent sembrano un po’ lontani da iuuenem [27], ma con incito non si è costretti a trasporre tamen. Lasciare questa parola al suo posto nel testo tràdito invece di trasporla rispetterebbe meglio l’usus scribendi del Poeta: fra le sue 18 occorrenze nel Liber, tamen costituisce cinque volte il quarto e il quinto elemento del verso, precisamente nei vv. 10, 14; 24, 10; 42, 15; 58b, 8 e 72, 6, e in questi cinque casi tamen ha sempre l’ultima sillaba aperta, proprio come nella nostra terza congettura. Invece tamen non si incontra mai alla fine di un verso in Catullo. Questo particolare, come abbiamo già dimostrato, non dovrebbe essere sfavorevole all’emendamento di Parthenius, né alle nostre prime due proposte; sarebbe però meglio evitare la trasposizione di tamen alla fine del v. 189.
L’uso di incito in Catullo è attestato dai vv. 2, 4; 16, 9; 63, 85; 63, 93 e 64, 270 [28].
Le riflessioni esposte in questa sede si basano, come si è detto, sulla sistemazione e l’esegesi dei vv. 189-198 proposte recentemente da Li Song-Yang (cfr. supra, n. 5). Te-niamo a sottolineare che le tre congetture qui avanzate, tuttavia, devono essere intese, perché tali sono state concepite, come ipotesi a sé stanti; esse, sopratutto la prima e la terza, potrebbero essere ammesse anche nella forma del testo tradizionalmente accolta.
Note:
* Ringraziamo infinitamente la Biblioteca Apostolica Vaticana di averci permesso di consultare i codici catulliani in suo possesso, fra i quali R.
[1] I. Scaliger (ed.), Catulli, Tibulli, Properti noua editio, Lutetiae 1577, p. 35. Vedi anche Castigationes in Catullum, Tibullum, Propertium, p. 52. Altri versi citati seguono R. A. B. Mynors (ed.), C. Valerii Catulli carmina, Oxonii 1958 [1960(2)].
[2] A. Statius (ed.), Catullus, Venetiis 1566, p. 194. Purtroppo non abbiamo potuto trovare alcuna fonte nelle edizioni di H. Avantius, né altrove, per verificare la testimonianza di Statius.
[3] Mars non compare altrove nel Liber, però Æ. Baehrens corresse mater (V) di 64, 23 in marte. Cfr. Æ. Baehrens (ed.), Catulli Veronensis Liber, Lipsiae 1876, vol. I, p. 64; vol. II, pp. 369-370. Vedi anche Catull. 64, 394: saepe in letifero belli certamine Mauors.
[4] M. L. West così spiega la corruzione da at in ad: at (was) “often written adin manuscripts and inscriptions in spite of the grammarians’ rule given by Quintilian 1, 7, 5 and others” (M. L. West, Textual criticism and editorial technique: applicable to Greek and Latin texts, Stuttgart 1973, p. 132). Nelle nostre prime due proposte, al posto di at potrebbe andare anche ac, cioè ac Martem […] tamen. Cfr. infra, l’analisi sulla terza congettura.
[5] Qui come altrove faremo riferimento alla sistemazione del c. 61 proposta da Li Song-Yang in Catullo 61, 189-198, «Maia» 58 (2006), pp. 473-485.
[6] Cfr. Li Song-Yang, art. cit.
[7] La metafora di Mars per un uomo –marito o amante in particolare – compare già in Plauto. Cfr. Truc. 515: Mars peregre adueniens salutat Nerienem uxorem suam (saluto di Stratophanes, un militare appena ritornato dalla guerra, alla sua amante Phronesium).
[8] Cfr. F. Della Corte, Personaggi catulliani, Firenze 1951 [1976(2)], pp. 87-108.
[9] Sappiamo che, secondo la soscrizione di G, V era molto corrotto (corruptissimus e salebrosus).
[10] Cfr. P. Fedeli, Catullus’ carmen 61, Amsterdam 1983, pp. 28-36.
[11] Nell’arte figurativa greca e romana sono numerose le rappresentazioni di Afrodite e Ares (Venere e Marte) come coppia d’amanti. Cfr. e. g. una scultura di età antonina, conservata presso il Museo Nazionale Romano. Vedi anche l’articolo Mars in Ch. Daremberg - Edm. Saglio, Dictionnaire des Antiquités grecques et romaines, Paris 1877-1919, t. VIII, pp. 1607-1623.
[12] Cusiosamente, non c’è nessuno studioso che, a nostra conoscenza, abbia citato la lezione Martem dopo Statius.
[13] Che nella sua edizione (pp. 194-195) legge: Admetum iuuenem tamen.
[14] Parthenius emendò il verso in At marita tuum tamen, e il suo emendamento fu accolto da A. Palladius, Avantius, A. Manutius, A. & B. Guarini, M.-A. Muretus, ecc. Cfr. A. Parthenius (ed.), Tibulli Catulli et Propertii carmina, Venetiis 1488. Non abbiamo potuto consultare la sua prima edizione (Brescia 1485).
[15] Cfr. Mart. XII 8, 5-6: et fortem iuuenemque Martiumque / in tanto duce militem uideret.
[16] P. Grimal, Enciclopedia dei miti: mitologia greca e romana, ed. italiana a cura di C. Cordié, Brescia 1987 [Milano 1997], p. 395. Cfr. Ou. fast. 5, 59: Martis opus iuuenes animosaque bella gerebant.
[17] Correzioni di questo genere riccorono in tutto il Liber. Cfr. vv. 1, 8: habetibi: tibi habe (V), 23, 13: magis aridum: aridum magis (V), 30, 8: tuta omnia: omnia tuta (X), 35, 11: si mihi: mihi si (R), 39, 3: orator excitat: excitat orator (V), 42, 15: hoc satis: satis hoc (R), 66, 85: dona leuis bibat: leuis bibat dona (V), 68, 160: dulce mihi: mihi dulce (V), 76, 10: iam te cur: cur te iam (V), ecc. Vedi anche la correzione di Statius.
[18] Cfr. Hor. carm. II 18, 29; carm. III 5, 50; carm. III 24, 63; carm. IV 13, 2 ([...] Lyce: fis anus, et tamen / uis formosa uideri).
[19] Nello stesso carme 61, ai vv. 9-10, sono presenti due iperbati dei quali uno, niueo […] pede, molto notevole e ai vv. 29-30 non possiamo passare sotto silenzio nympha […] Aganippe. Non vorremmo nemmeno tacere il notissimo Lesbia me dispeream nisi amat (v. 92, 2) dove l’iperbato sconvolge felicemente il normale ordine sintattico (altri esempi, anche tratti da autori diversi, e talora precedenti a Catullo, di ogni tipologia di iperbati più o meno notevoli si possono trovare in J. B. Hofmann - A. Szantyr, Stilisticalatina, a cura di A. Traina, Bologna 2002, pp. 11-18). Si potrà certamente obiettare che la distanza tra apposizione (Martem iuuenem) e pronome (te) non ha paralleli, ma è bene non lasciarsi ingannare. Elemento separatore (tralasciando il brevissimo neque) è, infatti, una proposizione parentetica che nella ricezione del testo viene, per così dire, accantonata dal lettore e lasciata come sfondo della proposizione principale (operazione, tra l’altro, facilitata dalla banalità del contenuto della parentetica) così che l’interruzione e l’iperbato risultano assai più lievi alla lettura di quanto non appaiano alla vista.
[20] J. B. Hofmann - A. Szantyr, op. cit., p. 12. Si noti, inoltre, la presenza dell’iperbato nelle correzioni di Parthenius e di Statius. Vorremmo adesso interpretare i vv. 189-198 nel seguente modo:
uirgines ad Iuniam le fanciulle a Iunia
194 non diu remoraris et (ah! Sposa!) Non lungo è il tuo indugio,
iam uenis. bona te Venus eccoti qua! Venere onesta ti assista
iuuerit, quoniam palam poiché pubblicamente
quod cupis, cupis / capis et bonum brami / ricevi ciò che brami, e l’onesto
(205) non abscondis amorem. amore non nascondi.
pueri ad Manlium i fanciulli a Manlius
189 at Martem iuuenem tamen, Ma neppure te, giovane Marte,
(caelites! nihilo minus (o dèi del cielo non sei meno bello
pulcer es) neque te Venus di alcuno!) Venere
neglegit. sed abit dies: trascura. Ma il giorno passa:
(200) perge, ne remorare. affrettati, non indugiare.
[21] Su iuerint (iuuerint nei codici) di Catull. 66, 18 M. Lenchantin de Gubernatis, che seguì i codici, così commentò: “Nota la breve iŭ- per iū- ad analogia degli altri perfetti in –ŭī: Enn. Ann. 355, Plaut. Rud. 305, Ter. Phorm. 537, Prop. 2, 23, 22. La grafia iuerint che molti editori preferiscono, foneticamente corrisponde aiuuerint, ed è adottata per la convinzione inesatta che iŭ- sia dovuto alla caduta di -u-intervocali” (M. Lenchantin de Gubernatis (ed.), Il Libro di Catullo, Torino 1928 [rist. 1988], p. 194). Vedi anche G. Lafaye (ed.), Catulle. Poésies, Paris 1922, p. 70b. Se seguissimo Lenchantin, avremmo una variante della seconda proposta: at Martem iŭuerint tamen. Paleograficamente iuuerint è più vicino a iuuenem, però, nel nostro passo non ci sarebbe un’analogia fonetica e metrica, essendo lungo iu- di iuuerit (v. 196).
[22] Cfr. Catull. 62, nel quale i pueri vinceranno la competizione del canto “contro” le uirgines.
[23] Ac tamen ci sembra rendere l’indicativo più probabile del congiuntivo esortativo.
[24] L. Castiglioni - S. Mariotti, Vocabolario della lingua latina, [Torino] 1966 [1996(3)], p. 106. L’accusativo Martem (o maritum) avrebbe generato la correzione errata di ac in ad. Cfr. il v. 31 dove ac, che precede l’acc. domum, fu corretto appunto in ad da R2 e D2.
[25] Oltre alla confusione frequente fra u e n nei codici catulliani, la nostra ipotesi si basa anche e soprattutto sull’analisi del valore metrico di tamen in Catullo. Fra le sue 18 occorrenze nel Liber, tamen è giambico soltanto in quattro casi (vv. 39, 15; 55, 8; 61, 80 e 64, 103); negli altri 14 versi è sempre pirrichio. È da precisare che in cinque casi tamen è seguito da in o da una parola con in- iniziale: 10, 14 (inquiunt); 64, 160 (in); 65, 15 (in); 68, 118 (indomitam) e 101, 7 (in).
[26] Si noti l’espressione proverbiale currentem incitare (cfr. Cic. Phil. 3, 19). Manlius, appena sentito l’invito dei pueri – iam licetuenias, marite (v. 184) –, dovrebbe rivolgersi subito (currens?) al talamo.
[27] La corruzione da incitant (o incitent) in iuuenem non sarebbe assolutamente impossibile: la confusione fra a e e, come quella fra n e u, è uno degli errori più banali nei codici catulliani; per la mutazione di i in e cfr. 17, 10: paludis: paludes (V), 25, 5: ostendit: ostendet (V), 63, 1: celeri: celere (V), 64, 136: mentis: mentes (V), ecc. (si potrebbe ipotizzare anche la corruzione ci> u); -m sarebbe risultato da una lettura erronea di -nt, cfr. 102, 1: amico: antiquo (V), 71, 2: secat: secum (X m) secunt (O), 64, 56: tum: tunc (O), 64, 143: nunc: tum (V) (la confusione fra t e c è frequentissima nei codici catulliani).
[28] Cfr. soprattutto 63, 85-86: ferus ipse sese adhortans rapidum incitat animo, / uadit, fremit […]; 64, 270: horrificans Zephyrus procliuas incitat undas.
Li Song-Yang Virgilio Irmici